Ultimo aggiornamento:  12 Agosto 2019 9:40

C’è fiducia nel futuro

Andamento in leggera flessione per il ceramico nel 2018 che ha visto però un incremento degli investimenti. Confindustria Ceramica ha aumentato il numero degli associati. La Bretella.

La ceramica italiana, dopo aver archiviato un 2018 di leggero ribasso, attende il Cersaie di fine settembre per vedere se il 2019, iniziato lentamente, può dare qualche segnale di ripresa.

Intanto  i risultati del 2018. Le 137 aziende con produzione in Italia, hanno segnato un leggero aumento degli occupati, che hanno sfiorato i 20.000 addetti (19.692 esattamente, 177 in più rispetto all’anno precedente). La  produzione è calata un tantino: 415 milioni di metri quadrati, cioè  -1,6% sul 2017, pari a 7 milioni di metri in meno. Il fatturato si ferma a 410,1 milioni di metri quadrati, con una flessione del 2,8%. Il mercato italiano resta desolatamente statico, con una leggera riduzione a 82,4 milioni di superfici (-1,6%), ancora meno della metà del mercato interno pre crisi. L’export è girato in negativo, a causa di un finale d’annata in frenata e si pianta sotto i  328 milioni di metri quadrati (-3,1%). Il fatturato totale delle aziende ceramiche che producono in Italia raggiunge così i 5,4 miliardi di euro (-3,0%), derivante per 4,5 miliardi dalle esportazioni (-3,3%) – quota dell’85 % sul fatturato – e da 834 milioni di euro in Italia. Nel 2018 gli investimenti sono stati 508,2 milioni di euro (9,4% sul fatturato annuo), valore che ha consentito all’intera industria di superare i 2 miliardi di euro nel quinquennio. Tra le ragioni, le opportunità date dalle misure di Industria 4.0, colte appieno dalle aziende del settore, il recupero di competitività attraverso tecnologie più evolute, l’ammodernamento degli stabilimenti e delle linee produttive, e la conseguente fiducia sulle prospettive del settore. 

Il Presidente di Confindustria Ceramica dalla sede nazionale di Sassuolo Giovanni Savorani può però annunciare un ampliamento della base associativa grazie all’ incorporazione dell’ Andil, l’associazione dei produttori di laterizi. Possiamo dire che a questo punto la potente struttura basata in via Monte Santo, oltre ad abbracciare sempre di più tutta la penisola, è in grado di rifornire tutta una abitazione: dal tetto ai mattoni delle pareti esterne, alle piastrelle dei pavimenti e dei rivestimenti, all’ arredo-bagno con la ceramica dei sanitari e, volendo, c’è anche la stoviglieria. La parte del leone è sempre di più nella base ex-AssoPiastrelle, tanto che tra occupati in Italia e addetti dei 16 stabilimenti esteri di gruppi italici i “piastrellari” superano l’ 81% del totale, mentre in termini di fatturato la percentuale supera l’ 84%.

A livello di aree di export, una zona dinamica nell’ultimo triennio è sicuramente quella dei Balcani, mentre i Paesi del Golfo sono quelli che nel 2018 hanno avuto la peggior flessione.  

Ancora un trend molto dinamico per gli investimenti, che, a quota 508 milioni, pesano per il 9,44% del fatturato e toccano  i 2.000 miliardi nell’ arco del quinquennio 2014-18. Sicuramente l’effetto del piano Industria 4.0 nel comparto è stato spettacolare, arrivato oltretutto nel periodo in cui gli investimenti sulle grandi lastre stavano per decollare. Gli incentivi, basati su incrementi delle quote di ammortamento fino al 170%, hanno convinto nel distretto sassolese, come in quello romagnolo,  i medi e i grandi gruppi a superare ogni incertezza, non dimenticando che negli scorsi anni il terremoto della Bassa da Finale Emilia al ferrarese ha inevitabilmente influenzato il rinnovo, anche forzoso, degli impianti.

Certamente – osserva Savorani – “C’è competizione con gli altri paesi produttori e con materiali alternativi”. Il fatturato totale di  5,4 miliardi non si porta a casa facilmente “Il prezzo medio è fermo, ma si vende un prodotto leggermente più di qualità”. D’altra parte non è un problema solo di ambito nazionale, tanto è vero che gli stabilimenti con produzione in Usa vedono un calo in fatturato del 4%. 

Ma se la concorrenza spagnola è aggressiva e ha obblighi ambientali molto meno vincolanti, ci sarebbe da recriminare sulle norme italiane e sui troppi balzelli, ma su questo il Presidente non ha voglia di attaccare. Sulla Bretella, invece, l’industriale romagnolo, quindi fuori da interessi aziendali, non perde l’occasione di tirare le sue stoccate. “È una necessità improrogabile: un settore industriale che genera 10 milioni di ricchezza non può non avere una infrastruttura viaria adeguata”.

Senza peli sulla lingua giudica inutile l’analisi costi-benefici rispolverata a livello governativo, “perché i costi sono a carico solo dei privati”. “Dovrebbe essere stata sbloccata dal 20 marzo – osserva – Aspettiamo che al Ministero tirino fuori la pratica dal cassetto, ma  CONFINDUSTRIA e i sindacati siamo gli unici, che continuano a difendere i posti di lavoro, dato che la mancanza della bretella mette a rischio 40.000 posti di lavoro”.

Del resto a livello ferroviario il distretto ha già raggiunto  il 20% del traffico in uscita, anche se resta  da realizzare lo scalo ferroviario tra Marzaglia e Dinazzano. La strada verso la “cura del ferro” pare obbligata “Austria e Svizzera – nota Savorani – tra un po’ non faranno più passare gli autotreni”.

Anche il trasporto per nave non viene trascurato “Abbiamo in corso uno studio sul tragitto Sassuolo-Porto di Ravenna con la costruzione di due scali merci ai lati del porto. Molto interessato si è dichiarato il direttore dell’Autorità Portuale per lo sbocco sul Nord Adriatico”. Peccato che la normativa italiana escluda dagli appalti tutte le aziende in concordato, come la Cmc di Ravenna, e quindi c’è carenza di operatori in grado di gestire simili opere pubbliche.

Infine una promessa a sostenere una normativa nazionale più favorevole “Rilanceremo l’azione per incentivi per la messa in sicurezza antisismica. Dobbiamo fari ripartire l’edilizia, senza l’edilizia il paese è azzoppato” e una preoccupazione “L’analisi finanziaria del nostro Osservatorio mette in luce che l’Ebitda (un indice di redditività) dei 10 grandi gruppi copre il 70% di quello complessivo. Non è un buonsegno per il futuro delle piccole”. 

Giorgio Pagliani