Ultimo aggiornamento:  7 Dicembre 2021 6:37

Intervista a Cristian Pederzini

Il cinquantaduenne amministratore delegato di Italpizza, racconta dei suoi inizi, le sue motivazioni, la sfida verso i competitor e i suoi valori.

La sua azienda ha fatturato 170 milioni di euro nel 2020. Come è cambiata dalla sua costituzione nel 1991?
Iniziai a lavorare in proprio che ero molto giovane. Poco dopo aver terminato le scuole superiori, infatti, essendo una persona molto intraprendente ed affascinata dal mondo industriale, decisi di avviare un’impresa. Feci un po’ di valutazioni e notai che in quegli anni si stava sviluppando il mercato delle pizze surgelate. Decisi quindi di aprire un piccolo laboratorio artigianale improvvisandomi “pizzaiolo”. Non avevo disponibilità finanziare e dovetti ricorrere a prestiti. Ebbi anche un aiuto dai miei cari genitori che, per quel che poterono, mi supportarono in tutto e per tutto.
Cosi, Nel 1991 nacque l’avventura Italpizza, che si basò sull’idea di ricreare in scala industriale il processo artigianale della classica pizzeria italiana. I primi anni furono particolarmente difficili sotto tutti gli aspetti, ma con perseveranza e grazie alla determinazione nel riuscire in quello che mi ero prefissato, iniziai a produrre in serie pizze d’alta qualità. Queste ultime, con caratteristiche organolettiche equivalenti a quelle della pizzeria, venivano poi surgelate e distribuite nella catena della GDO. Il successo riscontrato sul mercato portò successivamente alla costruzione, a Modena, di uno stabilimento dove vennero realizzate le prime due linee produttive industriali alle quali ne verranno poi aggiunte altre due.
Per i successivi otto anni Italpizza, caratterizzata da una vocazione Private Label, ha avuto una significativa e progressiva espansione decollando prevalentemente nei mercati internazionali.
Grazie all’alta qualità dei prodotti e alla posizione di riferimento conquistata nel mercato, nel 2008 il controllo dell’azienda fu ceduto alla multinazionale alimentare inglese Bakkavor, la quale mi lasciò però alla guida dell’azienda.
Nel 2014 la svolta strategica. Avviai un ambizioso progetto al fine di riportare il controllo della società in mani italiane riacquistandone la maggioranza. Nel 2015 lanciammo sul mercato il rivoluzionario prodotto a nostro marchio “26×38”, un formato rettangolare, interamente allargato a mano come un prodotto di sartoria su misura.
È rilevante, è vero, il trend positivo di crescita aziendale che ha portato il fatturato di Italpizza a crescere in doppia cifra. Ma non è il dato più significativo per noi, se non inserito nel giusto contesto. Tale crescita, infatti, acquista ancora più peso se pensiamo al mercato italiano che vede la presenza di due players multinazionali come: Nestlè e Cameo. Attualmente Italpizza detiene il circa il 20% del volume del mercato italiano a marchio proprio, conquistando cosi i primissimi posti del podio; “Italpizza, poi, diventa” il diviene leader  di mercato se, oltre ai volumi a marchio proprio, aggiungiamo la quota di mercato a Private Label prodotta dalla grande distribuzione.
Un’azienda emiliana che punta su un prodotto campano; perché questa scelta?
Molti si chiedono come mai un’azienda emiliana produca un prodotto campano. Forse prima bisognerebbe chiedersi come mai un’azienda tedesca come Cameo è leader del mercato italiano delle pizze surgelate, con un prodotto realizzato in Germania. Questo la dice lunga sulla capacità del nostro sistema paese di difendere l’italianità dei nostri prodotti. Il fil rouge che accompagna ogni scelta relativa ai nostri prodotti è l’italianità. Non si tratta, quindi, di rispettare l’offerta gastronomica dei confini regionali, ma dare voce a quel sentimento d’appartenenza nazionale che ci accompagna fin dagli esordi: l’intento di Italpizza, come si può già evincere dal nome, è quello di portare nel mondo l’autenticità del prodotto italiano per eccellenza, la pizza, rispettandone le caratteristiche produttive artigianali su scala industriale.
Qual è il suo prossimo sogno? Qual è il suo rammarico?
La mia carriera imprenditoriale l’ho basata proprio sui sogni, anche se non tutti poi si realizzano, ma questo fa parte del gioco. Ciò che mi attira di più è dare giustizia storica al simbolo del food italiano, la pizza, portando Italpizza ad essere leader del mercato e potendo così dire che l’Italia si è ripresa il primato che le spetta, ora detenuto dai tedeschi.
Il rammarico che mi accompagna è constatare che spesso e volentieri, come imprenditori che decidiamo di investire, combattere e rischiare per raggiungere un “sogno” che potrebbe portare benefici a tutta la collettività, ci troviamo non solo da soli, ma a volte anche osteggiati dal Sistema Paese che fatica a modernizzarsi come servirebbe per competere nel mondo contro certe multinazionali. Io posso fare la mia parte, ma poi serve che anche gli altri facciano la loro.
Quali sono i valori su cui punta?
La risposta più semplice a questa domanda sarebbe differenziare i valori imprenditoriali da quelli personali. Ma per Italpizza, e per me che ne sono il fondatore, non è così Il business ha le sue regole ed è corretto farvi affidamento per non sbagliare rotta, ma non può essere il solo cardine ispiratore della mission aziendale. Sicuramente Italpizza ha l’obiettivo di diventare un punto di riferimento nazionale ed internazionale per la produzione delle pizze surgelate di alta qualità. E conseguentemente puntiamo a servire i consumatori con un’ampia ed innovativa offerta di mercato, ispirata dal costante miglioramento del prodotto nel rispetto della tradizione, sicurezza e sostenibilità nella più ampia ottica della Responsabilità sociale d’impresa.
Potrebbe mai produrre pizze in America?
Certo che sì. Siamo stati i primi in Europa ad esportare pizze italiane negli USA che, ad oggi, rappresenta per noi il principale mercato. Come hanno fatto altre industrie italiane, ciòì non esclude che anche noi arriveremo a produrre in America, anche se non sarà semplice perché vorrà dire replicare oltre oceano il nostro know-how, particolarmente complesso per il difficile equilibrio tra manualità e tecnologia.
Di che cosa avrebbe bisogno il food italiano?
Innanzitutto il food italiano dovrebbe essere tutelato sul piano internazionale. Dietro, infatti, alle eccellenze culinarie italiane vi sono intere filiere che lavorano per garantire la qualità e l’autenticità del prodotto per poi essere vittime del fenomeno deleterio dell’agropirateria” iItalian sounding”. Serve innovazione per andare incontro alle nuove tendenze alimentari. Oggi, infatti, l’attenzione deve essere rivolta a ricette innovative, ad alimenti sani, senza conservanti e coloranti e sostenibili, dal prodotto fino al packaging stesso. Il consumatore segue diete ed è sempre più attento e documentato, ricercando prodotti “clean” con pochi ingredienti, salutistici o “free from”. Italpizza da anni si muove in questa direzione, ponendo centrali le nuove esigenze sia nelle scelte sia nelle prospettive future con un importante sforzo tecnologico.
Cosa consiglierebbe a un giovane imprenditore?
Innanzitutto, lo inciterei ad avere coraggio, ad azzardare, a non demordere nel perseguire i propri obbiettivi. Gli ricorderei di tener ben presente che un’impresa si basa su un’idea, sul capitale e sulle competenze, nessuna di queste componenti è imprescindibile. Infine, il mio consiglio per raggiungere il successo è di essere sfidanti, lavorare sodo, apprendere in continuazione facendo importanti sacrifici e, perché no, auspicando anche in un pizzico di fortuna.
Vi sono altri prodotti italiani che meriterebbero di avere maggiore conoscenza internazionale? Se si quali?
L’Italia è la patria per eccellenza del buon cibo e, per questo motivo, tutti i veri prodotti “made in Italy”, quelli che ripropongono il senso di un’artigianalità e di una tradizione ormai perse, dovrebbero essere conosciuti in tutto il mondo. Importante è poi la distintività del prodotto stesso: non solo l’italianità ma l’autenticitàdi quanto di propone sul mercato.
Lei è Presidente di un’azienda che esporta i propri prodotti in 54 paesi esteri. Cosa consiglia a chi ha un prodotto italiano che ha potenzialità è per aggredire nuovi mercati?
Di considerare che non è sufficiente avere un buon prodotto che piace al consumatore medio italiano. Il mondo è variegato e pieno di gusti, di tradizioni distinte. A volte, per poter promuovere il food italiano all’estero, è necessario arrivare a dei compromessi con il mercato. Non tutti i prodotti vanno bene per tutti i mercati: è necessario affrontare le specificità di richieste e gusti adattando l’offerta. Questo richiede inevitabilmente investimenti in competenze ed in innovazione tecnologica.

Qualità e Manualità

L’ andamento del fatturato negli ultimi tre anni?
Dalla sua nascita, avvenuta trent’anni fa, il fatturato di Italpizza cresce a ritmi costanti. Negli ultimi tre in particolare, abbiamo registrato un significativo successo commerciale, grazie anche ai nuovi prodotti lanciati sul mercato italiano dove siamo divenuti leader. Il volume d’affari è passato da € 127 milioni nel 2018 ad oltre € 170 nel 2020.
Il numero degli addetti negli ultimi tre anni?
Il numero del personale medio del sito Italpizza è cambiato nel corso dell’ultimo triennio. Il trend è sempre rimasto positivo ed ha registrato un complessivo aumento del 3%, con un numero di addetti impiegato che supera quota 1000.
Negli ultimi tre anni quali sono i nuovi prodotti?
Forti del successo della linea “26×38”, la “12×30” ovale e di piccole dimensioni -caratteristica che permette di cucinarne tre in una griglia- è stata lanciata proprio nel 2018, ampliando la gamma di prodotti a marchio Italpizza già presenti sul mercato.
Nel 2020 abbiamo lanciato due nuovi prodotti “RusticAlta” e “Che Pinsa!”. La prima è una pizza dalla forma ovale, dall’impasto alto, irregolare e dal gusto ruvido e deciso; la seconda si caratterizza per l’impasto più leggero presente sul mercato grazie alla lievitazione di oltre 48 ore.
Nel 2015 avevate una percentuale export del 70% e 88 milioni di fatturato e ora?
Rispetto al 2015 abbiamo raddoppiato il volume d’affari grazie al lancio sul mercato dei prodotti a nostro marchio. Pertanto, ad oggi l’export in valore assoluto raggiunge circa 105 milioni (in percentuale 60/65%).
Quali prospettive per il futuro? Punterete verso nuovi mercati? Aumenterete l’offerta di prodotti? Produrrete all’estero?
Sicuramente uno dei nostri principali focus, in questo momento, è replicare nei mercati esteri la positiva esperienza ottenuta nel mercato italiano. Esportiamo in 54 Paesi, sia all’interno dell’Unione Europea, sia al di fuori, in particolare negli USA. L’elevata percezione della categoria ed un recente spostamento dei consumi da prodotti di primo prezzo a referenze di alta gamma, favorisce l’implementazione del progetto di internazionalizzazione che recentemente abbiamo predisposto. Il piano prevede la creazione di una rete commerciale diretta e l’apertura di sedi estere.
Producete pizze in varie declinazioni e molte più rispetto ai vostri competitor. È sulla varietà dell’offerta che avete puntato?
La nostra filosofia punta sull’offerta di prodotti di alta gamma, preparati attraverso un innovativo processo semiartigianale, elemento chiave del nostro successo (lievitazione degli impasti 24/48 ore, stenditura e farcitura manuale, cottura in veri forni a legna). Allo stesso tempo, abbiamo un’“anima internazionale” che richiede necessariamente continue innovazioni – di formato, di ricetta, di ingredienti – oltre alla capacità di adattamento, dovendo anticipare le esigenze di consumatori dal background culturale diversificato; elemento, questo, che ci porta ad offrire oltre 700 ricette diverse, distinguendoci così dai competitor.