Ultimo aggiornamento:  18 Gennaio 2018 5:10

Lavorare per garantire l’acqua

Sisma, alluvione, siccità e cambiamenti climatici: anni difficili quelli attraversati dalla realtà modenese che ha reagito e ora pianifica il futuro

 Ha 125 anni, ed è quasi sinonimo del territorio modenese: o meglio in particolare di una sua parte. Quando infatti si nomina o si legge “Burana”, ecco che viene da pensare alla bassa. Ma il Consorzio di Bonifica di Burana, realtà di gestione delle acque di superficie, delle reti dei canali e delle opere di bonifica, non è solo area nord: le sue competenze si estendono dalla Lombardia alla Toscana, in particolare all’Abetone, sebbene oltre il 92% del territorio ricada in Emilia-Romagna. Una realtà divenuta nel tempo indispensabile e fondamentale – pensiamo alla recente siccità – strategica, appunto per sue funzioni. Uscita malconcia dal terremoto 2012 – l’intera rete ha necessitato di interventi di ripristino – e passata attraverso un’alluvione (gennaio 2014), oggi guarda e programma il suo futuro e direttamente quello del territorio. “Ben consci dei cambiamenti climatici intervenuti in questi anni” spiega Francesco Vincenzi, 39 anni e presidente del Consorzio dal 2011.

Come si è posto e come ha agito il Consorzio di fronte ad un periodo siccitoso come quello dei mesi scorsi? Quali le misure messe in atto, di fronte anche alla richiesta d’acqua da parte delle aziende agricole? “Posso dire che grazie alla lungimiranza avuta oltre 50 anni fa nel realizzare infrastrutture idriche fondamentali, è stato possibile portare acqua alle campagne dell’area nord modenese – zona a sinistra del Panaro – fino alle porte di Modena, supplendo in questo modo all’emergenza idrica creatasi. È utile ricordare che, l’assenza di precipitazioni, non solo estive, ma pure nell’inverno scorso, ha costretto il ricorso all’irrigazione a partire già da gennaio 2017. Considerata la presenza di colture, non solo di medicai e grano, ma in particolare meloni e cocomeri, piante da frutto e vigneti (15 anni fa nessuno avrebbe pensato di irrigare i vigneti…) che ne necessitavano. Nella zona a sud di Modena invece, dipendente dalla traversa di Castellarano, siamo riusciti a sopperire all’ordinanza di divieto di prelievo dal fiume Secchia, riuscendo ad accontentare il territorio centellinando l’acqua e distribuendola a turni. Più critica invece è stata la situazione a destra e sinistra del Panaro per i Comuni di Vignola, Savignano, Nonantola, Castelfranco Emilia e Ravarino. Un territorio soggetto a rischi maggiori causa i mutamenti climatici, perché solcato da fiumi torrentizi appenninici con portate che oscillano da quote minime a elevate. Anche qui siamo intervenuti con turnazioni, limitando il fermo all’irrigazione solo a qualche giorno. Inoltre ci siamo serviti dell’acqua del Po per il tramite del CER (Canale Emiliano Romagnolo) portandola attraverso la rete di canali alla sinistra del Samoggia, fino a Castelfranco Emilia”.

Avete in programma nuovi interventi rispetto allo stato attuale della rete? “Naturalmente lo strutturarsi dei cambiamenti climatici ci fa pensare che la situazione di quest’anno possa ripetersi sempre più di frequente. Per questo se oggi la programmazione d’intervento verte su un aiuto alle zone più sofferenti, pensiamo che in futuro serva una riflessione a priori. Già col bando PSNR prevediamo un nuovo impianto in pressione presso San Prospero, frazione di Staggia, mentre nel piano nazionale degli invasi abbiamo inserito il raddoppio della cassa di espansione a Manzolino e la realizzazione di una cassa di espansione a Quarantoli, nel mirandolese, ad uso plurimo: vasca di laminazione, uso irriguo ed ambientale. Stiamo predisponendo un progetto per la zona di Nonantola-Ravarino per non essere più dipendenti dal fiume Panaro, ma direttamente dal Po, così da alleviare le problematiche in quel territorio che è tra i più fiorenti per peri e vigneti. In questo caso abbiamo necessità di accellerare ed essere pronti a fine 2017. Queste le priorità nel breve periodo. Poi, nel lungo si potranno concepire sistemi volti a trattenere l’acqua più a monte attraverso l’utilizzo di cave dismesse. Un progetto da mettere in atto e da proporre in accordo con le istituzioni locali e la Regione”.

Quali sono le criticità che il Burana affronta nell’arco di un anno? “Molteplici e di varia natura, non ci sono solo i periodi siccitosi, in inverno i problemi sono opposti, convogliare le acque di pioggia e neve nei canali evitando allagamenti. Principalmente siamo costretti a fare i conti con due fattori. In primo luogo, con l’aumento e la diminuzione veloce del livello di acqua nei nostri canali. Dovuto in particolare all’urbanizzazione, che arrivando a servirsi della rete sia irrigua che di scolo – ben presente da anni e questo va ricordato – pone oggi problemi di tenuta infrastrutturale. Poi con la presenza di animali sul territorio che sovente creano problemi danneggiando le infrastrutture stesse. Riguardo a ciò, stiamo mettendo in campo sinergie con gli enti preposti volte a prevenire questo genere di danno. In caso di eventuali criticità ribadiamo comunque la nostra disponibilità a ricevere segnalazioni”.

Due passi indietro: il sisma del 2012 e l’alluvione del 2014, Quali i danni riscontrati? Che genere di interventi sono stati messi in atto? Quali ad oggi le contromisure adottate a fini preventivi e gli investimenti a tal senso? “Il sisma del 2012 ha colpito l’80% del comprensorio di bonifica danneggiando quasi tutte le infrastrutture presenti. Ad oggi però tutte le opere di ripristino sono in fase di esecuzione e alcune già ultimate, mancano solo due progetti. Si è trattato di un intervento più che rapido, considerando i tantissimi km di canali e argini danneggiati. Per quanto riguarda l’alluvione abbiamo pagato per un evento che ha coinvolto un fiume, il Secchia, dunque fuori dalla competenza della bonifica che si occupa di canali. Grazie al pronto intervento della struttura del Consorzio, con le opportune manovre idrauliche siamo riusciti a ridurre l’impatto dell’acqua e grazie ai nostri impianti idrovori abbiamo pompato e portato a mare 19 milioni di mq d’acqua. Ora però il Paese deve mettersi nella logica della prevenzione e non solo dell’emergenza che, per quanto ci riguarda, si traduce nella necessità di finanziare l’ammoder-namento delle infrastrutture per rispondere ai nuovi scenari aperti dai cambiamenti climatici. Sempre in termini di scolo abbiamo in cantiere un progetto importante nella zona di Bondeno: l’impianto Cavaliera, in attesa di finanziamento, che supporterà la Botte napoleonica e l’impianto Pilastresi nel garantire la sicurezza idraulica dei territorio di pianura”.

Quanto resta importante l’attività del Consorzio sul territorio e perché? “Oggi i consorzi di bonifica sono rimasti l’unico presidio per la sicurezza del territorio e per l’approvvigionamento idrico in agricoltura. Sono strumenti essenziali per offrire risposte sia al territorio montano che alla pianura. Abbiamo capacità, competenze, mentre sviluppiamo azioni ed interventi concreti. Siamo svincolati dal Patto di Stabilità, e questo ci consente di operare per la sicurezza del territorio”.

 
SCHEDA

Il Consorzio della Bonifica Burana ha il compito di difendere dagli allagamenti i grandi territori di pianura racchiusi tra gli argini del fiume Po a nord, fossa di Spezzano e fiume Secchia ad ovest, torrente Samoggia e fiume Panaro a est.
Le acque di pioggia ristagnerebbero nelle città e nelle campagne se la bonifica, con le proprie opere, non consentisse alle acque di defluire in modo ordinato, tramite la loro raccolta e allontanamento nella rete idrografica artificiale dei canali. Quando necessario, il Consorzio provvede anche a trattenere l’acqua delle precipitazioni se disponibile, a derivarla dai fiumi e a distribuirla al servizio dell’agricoltura e dell’ambiente tramite i canali stessi e gli impianti idrovori dislocati nel territorio. Nel territorio di montagna il Consorzio di Bonifica interviene, in sinergia con altri enti, per la difesa dal dissesto idrogeologico.
Il comprensorio di Burana ricade oggi in 54 comuni delle province di Modena, Mantova, Ferrara, Bologna e Pistoia per una superficie di 242.521 ettari, di cui in pianura 156.471 e in montagna 86.050.

Filippo Pederzini