Ultimo aggiornamento:  4 Febbraio 2021 9:33

Le firme che scommettono sul 2021

Al termine di un anno assai pesante per l’abbigliamento, un’eccellenza modenese stringe un accordo con un’altra big.

In mezzo al ponte dell’Immacolata, mentre una buona fetta di italiani ricominciava a frequentare posti di ristoro e sulle Alpi nevicava copiosamente, è arrivato l’annuncio dell’operazione più spettacolare nel mondo depresso del Fashion italiano del 2020: Moncler e Stone Island si mettono insieme e scollinano insieme verso il 2021 puntando verso i 2 miliardi di fatturato.

Il piumino cresce di valore e di volume? Potrebbe essere un titolo scanzonato, ma c’è molto di più. Prima di tutto, mentre mezzo mondo della moda si lecca le ferite, sta chiuso a lavorare in remoto e piange sui suoi negozi mezzi vuoti, ci sono un paio di personaggi oggi non in prima linea nelle istituzioni milanesi del settore, che guardano avanti e non stanno a ripetere stancamente che il 2021 sarà un anno molto duro e che forse torneremo sui valori pre Covid nel 2023. È proprio vero quanto ha confidato il boss di Moncler Remo Ruffini al Corriere Economia (14 dicembre 2020) “Mi sono domandato se fosse il caso di annunciare l’operazione durante un lockdown, se non fosse irrispettoso verso chi sta vivendo situazioni difficili. Sono arrivato alla conclusione che potesse essere un valore per l’ Italia, uno stimolo, il segnale che non tutte le nostre imprese vengono cedute a stranieri”.

Centrale il tema di rilanciare il made in Italy nel mondo e poi il messaggio è potente: per una volta non sono i due colossi francesi LVMH e Kering che saccheggiano i nostri marchi – due nomi per tutti Fendi e Loro Piana – ma un brand, nato in Francia, Moncler, negli anni Cinquanta diventa una ”Grandeur” per mano italica. Vero anche ad occhi aperti!

 

Dall’alpinismo alla moda

Ruffini, imprenditore comasco, rileva Moncler nel 2003 dopo cinquanta anni dalla fondazione di una azienda, nata in un villaggio di montagna vicino a Grenoble. All’inizio Moncler produce sacchi a pelo imbottiti, una mantella foderata con cappuccio e delle tende da campo con copertura esterna. Poi comincia a produrre i primi piumini per gli operai, che devono difendersi dal freddo, mentre lavorano in tuta da lavoro nel piccolo stabilimento di montagna. Poi è l’alpinista francese Lionel Terray, che intuisce un uso dei piumini e di altri indumenti per le spedizioni in alta montagna.

Nel 1954 i piumini Moncler vengono scelti per equipaggiare la spedizione italiana sul K2 (8.611 metri), quella mitica che porta alla conquista della seconda vetta più alta del mondo nel gruppo dell’ Himalaia da parte di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, passata alla storia anche perché il giovane Walter Bonatti dovette passare una notte a 8.000 metri per consentire che i due alpinisti prescelti compissero l’ impresa. Quindi da giacca a vento per temperature proibitive e per uso agonistico per lo sci e le discipline invernali negli anni Ottanta il pumino Moncler diventa anche un capo di moda.

Dopo l’ingresso di Ruffini l’azien-da cresce brillantemente fino al suo ingresso in Borsa nel 2013, quando spunta un prezzo di scambio alla chiusura del primo giorno superiore del 46% a quello della quotazione iniziale. In questo periodo vari fondi di investimento si avvicendano ad affiancare il Presidente e A.D. Remo Ruffini, da Mittel a Carlyle, da Eurazeo a Tip fino a Temasek. Una unica scivolata resta memorabile a novembre 2014, quando una puntata di Report di Milena Gabanelli, che ripercorre la scelta del decentramento internazionale della produzione, scopre come vengono letteralmente spiumate le oche sia in Ungheria che presso subfornitori di una regione remota della Moldavia, chiamata Transnistria. Report poi aggiunge che, secondo loro, il ricarico del prezzo di vendita finale al consumatore è talmente alto che Moncler non aveva motivo di chiudere i laboratori di produzione in Puglia. Il titolo il giorno dopo perde il 4,88% in Borsa, ma Ruffini continua a innovare il prodotto e oggi la Società è stata inclusa per la prima volta negli indici Dow Jones Sustainability World e Europe, come Industry Leader del settore Textile, Apparel & Luxury Goods.

 

La rosa dei venti

Non meno brillante è la storia di Carlo Rivetti, che entra in C.P. Company nel 1983, un anno dopo che il bolognese Massimo Osti l’aveva fondata con stabilimento in quel della bassa a Ravarino, al confine con la provincia di Bologna. Rivetti è di stirpe biellese, quindi viene dalla storia dei lanifici, ma la famiglia nel dopoguerra acquista il Gruppo Finanziario Tessile che, con il marchio Facis, era la prima industria di abbigliamento tra anni Settanta e primi anni Ottanta. Cugino di Carlo era Marco, che fu il primo a capire l’ importanza di avere le licenze degli stilisti allora emergenti. Due nomi su tutti: Giorgio Armani e Valentino. Carlo, però, nel 1993 si stacca dal G.F.T. e acquisisce insieme alla sorella Cristina l’altro 50% di C.P. Company e le cambia il nome in Sportswear COMPANY e ne diventa boss assoluto. La storia del marchio Stone Island nasce da una intuizione di Osti, che aveva avuto per le mani un tessuto di tela di cotone, con un colore diverso tra dritto e rovescio, preso direttamente dai teloni dei camion. Nacque così la Tela Stella con il simbolo della Rosa dei Venti, simbolo dell’ amore per il mare e della continua ricerca, come racconta Rivetti sul sito aziendale.

Nel 2010 il presidente decide che è il momento di puntare tutto su Stone Island e di cedere il marchio più storico C.P. Company. Nonostante la cessione nel giro di poco tempo il fatturato aziendale decolla fino a toccare i 240 milioni a fine 2019 con 200 addetti.

Moncler invece aveva chiuso l’annata pre Covid a 1.682 milioni. L’alleanza porta alla creazione di un polo tra i leader a livello mondiale nel mondo dello sportswear di alta gamma. Una ottima notizia, una delle pochissime da festeggiare a fine anno.

Giorgio Pagliani