Ultimo aggiornamento:  24 Giugno 2019 7:04

Manager di successi

Laureato a Modena, di Rubiera, il presidente e ceo di Gucci ha percorso importanti tappe nel settore del lusso

Il convegno del Dipartimento di Economia Marco Biagi dell’Università di Modena e Reggio Emilia, organizzato dal professor Tiziano Bursipresso la sede di Florim, uno dei principali player del mondo ceramico, ha dato l’occasione per vedere tornare in terra natia Marco Bizzarri, Presidente e Ceo di Gucci.

Il manager, nato a Rubiera, si trova oggi a dirigere la corazzata del gruppo Kering, controllato dalla famiglia francese Pinault, che insieme al grande rivale il gruppo Lvmh, sempre in mani francesi, domina il mercato del lusso.

Ma come ha fatto Bizzarri, laureatosi in Economia e Commercio a Modena nel 1986 ad arrivare fino a Gucci?

Nell’agile opera “L’internazionalizzazione dell’economia locale”, a cura sempre di Tiziano Bursi, racconta la sua storia con grande sincerità e senza nessuna pompa. Il primo posto di lavoro è presso Arthur Andersen a Bologna, oggi Accenture. Il nostro non aspetta di essere chiamato a colloquio, ma chiamò da una cabina telefonica per chiedere il colloquio. Gli rispondono che deve aspettare di essere chiamato da loro e dopo tre colloqui viene assunto.

“Restai circa nove anni – spiega Bizzarri – e la persona che aveva risposto alla mia chiamata divenne la mia assistente”. Si specializza anche nell’ uso dell’inglese  grazie a un periodo di formazione presso un loro campus a Chicago. Poi viene chiamato da Mandarina Duck, l’azienda di pelletteria di Bologna, dove “ho accompagnato la proprietà a varare una strategia di internazionalizzazione”. Nel 1997 è a Hong Kong a gestire un’azienda appena acquisita, poi si sposta in Francia per un’altra acquisizione, quindi diventa direttore generale, dove resta fino al 2004. Passa a Marithè et Francois Girbaud, marchio francese basato sul “washed jeans” come direttore generale, ma dopo pochi mesi arriva l’offerta dal gruppo di Pinault, allora chiamato PPR (Pinault-Printemps-Redoute) e non ancora Kering. Lascia per diventare manager di Stella Mc Cartney. “L’azienda attraversava una fase critica e necessitava di un rilancio – racconta – l’operazione riesce grazie alla collaborazione avviata con H&M – percepita all’ inizio da Stella Mc Cartney come un down-grading di posizionamento sul mercato – e che invece si è dimostrata strategica e vincente”. A quel punto il boss del Gruppo Francois-Henry Pinault gli offre la presidenza di Bottega Veneta, che ha tenuto per 6 anni. Bizzarri non nasconde il fatto che “nel mondo del lusso devi essere molto elastico e flessibile”: Stella Mc Cartney era vegana e non usava la pelle per le borse, mentre, quando entrò in Bottega Veneta, c’erano pelli di zebra ovunque.

La “cura” del manager reggiano dà subito i suoi effetti: in 5 anni il fatturato dell’ azienda passa da 400 milioni a 1,2 miliardi e lui ha voglia di cercare nuovi stimoli. Allora Pinault gli crea il ruolo di Ceo dei CEOs di tutti brand del gruppo tranne Gucci (Bottega Veneta, Yves Saint Laurent, Alexander Mc Queen, Stella Mc Cartney, Brioni, Sergio Rossi, Balenciaga). Una esperienza brillante, ma dopo 8 mesi il grande capo – spiega Bizzarri – “mi affida il comando di Gucci, che in quel momento non andava bene, realizzava un fatturato di oltre tre miliardi e un utile di un miliardo (sic!), ma il cui ritmo di crescita era distante da quello del mercato del lusso”.

Bizzarri cerca un nuovo direttore creativo, dopo aver passato nella storia del brand nato a Firenze personaggi come Tom Ford, Marc Jacobs e Frida Giannini. Viene scelto Alessandro Michele, che dà una virata di stile, che – dice il nostro – “ha rivoluzionato i codici estetici del mondo della moda”, attirando soprattutto i “millennials”. Il fatturato decolla: da oltre 3 miliardi del 2014 si sale a 6 nel 2017 e a 8,3 nel 2018.

Il resto Marco Bizzarri  lo spiega dal vivo nella grande sala della prestigiosa sede di Fiorano di Florim, davanti al rettore Andrisano, agli altri Alumni Star della storia della Facoltà e a Claudio Lucchese, padrone di casa, e a un uditorio fitto di studenti.

“Oggi abbiamo il 95% del fatturato all’estero in un settore trainato dall’offerta, non dalla domanda. Abbiamo toccato i 18.000 dipendenti, ma alle nostre spalle c’è sempre il distretto fiorentino”.

Il manager spiega ai tanti ragazzi “Bisogna avere una strategia unica, ma anche dare una home voice sul territorio”. La creatività è il perno, ma poi i talenti devono esprimersi e qui ci vuole l’humus aziendale, quello che ha saputo coltivare un tutte le realtà, dove è passato.

Riceviamo all’ anno 1 milione di Cv, cerchiamo persone capaci di innovare anche dal punto di vista del business. Ci vuole creatività e quindi non bisogna omogeneizzare. Abbiamo inventato lo Smart working, il cuoco stellato in azienda, la concierge per ritirare in lavanderia 2 volte al giorno. Cerchiamo di capire la vera passione delle persone.

“Abbiamo 540 negozi di proprietà, dove il turnover tocca il 25/30% annuo” e quindi il lavoro non deve essere affascinante.

Messaggio finale del laureato in terra modenese “Bisogna che i nostri collaboratori si innamorino del nostro brand. Io organizzavo pranzi con i dipendenti sotto i 30 anni e ora abbiamo creato il cassetto delle idee. In questo modo molti dipendenti sono riusciti anche a farsi notare, ma chi fa la claque all’head-quarter, nel lungo termine è perdente”.

Parole rivoluzionarie… viene da dire!

Giorgio  Pagliani