Ultimo aggiornamento:  19 Gennaio 2021 8:18

Perché è accaduto ancora?

Se lo sono chiesti gli imprenditori delle zone colpite – Nonantola in particolare – tra conta dei danni e disagi, in attesa di una risposta.

O ltre 1200 imprese con danni e più di 8000 persone colpite. È amaro il conto che presenta l’alluvione causata dalla rotta del Panaro (e non solo) il 6 dicembre scorso nei territori di Modena, Castelfranco Campogalliano e soprattutto Nonantola. Al covid che nel corso dell’anno ha imperversato tra stop alla produzione e riprese in frenata, si è aggiunto quest’altro disastro causato da piogge e scioglimento rapido della neve in montagna che ha ingrossato i fiumi, di cui si sarebbe fatto volentieri a meno. La conta dei danni complessivi – imprese ed abitazioni colpite, terreni allagati, ma anche la rete viaria… – ammonta a diversi milioni di euro, ma soprattutto ad una corsa contro il tempo per ritrovare quanto prima quella normalità andata perduta in pochi giorni. La falla del fiume Panaro è stata ripristinata nell’arco di una giornata. Quel che resta però è l’ammaloramento che tanta acqua ha causato, generando una situazione di amarezza oltre che di forti difficoltà e disagi.

Difficoltà sopperite – oltre naturalmente all’indispensabile e celere intervento della Protezione Civile, delle sue squadre e dei suoi mezzi – ancora una volta con la mano, offerta in modo volontario dalla solidarietà di tanti cittadini accorsi a portare il loro aiuto in modo spontaneo. Si pensi ad esempio che alla cantina Giacobazzi sono intervenuti i giocatori della compagine sportiva del Modena Rugby, mentre in altre situazioni i dipendenti delle aziende come pure i loro famigliari, quando non colpiti direttamente dall’alluvione. O ai gruppi di volontari provenienti da Modena ed altre parti. Chi non ha potuto di persona ha ricevuto l’aiuto indiretto, o sarebbe il caso di dire “diretto”, da fornitori che per offrire il loro sostegno hanno saldato anticipatamente le fatture.

Da segnalare anche chi, intuito il pericolo è riuscito a mettere in salvo quanto ha potuto limitando i danni. Ma pure chi, anche se accorso in tento e pur facendo il possibile, ad un certo punto ha dovuto arrendersi per non finire travolto dalle acque.

Quello che emerge però è il coraggio e la volontà di reagire e rialzarsi nel minor tempo possibile. Per rimettere in modo le produzioni e più in generale l’attività. Molti infatti, nonostante quello che l’alluvione si è lasciata dietro, erano già al lavoro nuovamente dal mercoledì ed altri al massimo dal giovedì successivo al disastro.

Resta infine, ma non ultimo per ordine di importanza gli interrogativi, che sono circolati di bocca in bocca, un grido di rabbia (e si scusi il gioco di parole) di tante persone arrabbiate: “Perché è accaduto ancora? A distanza di soli sei anni? L’altra volta è stato il fiume Secchia, questa volta il Panaro? Come è mai possibile che nel 2020 in piena rivoluzione digitale e tecnologica, ci troviamo ancora disarmati di fronte ad eventi del genere? Costretti a subirli? E con tutto quello che comportano in termini di disagi, fermo della produttività, danni?”, hanno detto a più riprese con fermezza ed in attesa di una risposta.

Giulio Po


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